giovedì 23 febbraio 2012

ORDINE DEL GIORNO ARTICOLO 18





ORDINE DEL GIORNO: RIFORMA DEL LAVORO. ART.18 STATUTO DEI LAVORATORI





Considerato che, In questi giorni il Governo nazionale è tornato a discutere sulla riforma del lavoro.

Visto che l’obiettivo dichiarato è quello di introdurre maggiore flessibilità nel sistema dei rapporti di lavoro per cercare di ridurre la disoccupazione soprattutto giovanile.

Preso atto che i punti principali della riforma riguardano l’introduzione di nuove forme di contratto lavorativo più flessibili rispetto al tradizionale “contratto a tempo indeterminato “ (contratti occasionali, lavoro a chiamata, lavoro a progetto etc.); un nuovo modello di contrattazione individuale (imprese che hanno profitti più alti avrebbero la possibilità di offrire ai propri dipendenti condizioni contrattuali più vantaggiose); una riforma dei meccanismi di protezione professionale (con una spesa prevista per lo Stato di circa 1,5 miliardi di Euro); la liberalizzazione dell’istituto di collocamento in modo da facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro con il coinvolgimento anche di strutture private. 

Considerato che la proposta del governo che più di altre incontra l’opposizione delle tre confederazioni sindacali (CGIL, CISL, UIL) è quella che riguarda le norme sui licenziamenti contenute nel suddetto “Statuto dei lavoratori”.

Preso atto che il 14 maggio 1970 la Camera approvava la legge n.300 conosciuta più comunemente come “Statuto dei diritti dei lavoratori”. Si tratta del più importante testo normativo, dopo la Costituzione, sui diritti dei lavoratori e venne approvato dopo un lungo periodo di lotte sindacali culminate col rinnovo dei contratti collettivi nazionali dell’autunno del 1969. Lo Statuto tutela in particolare il diritto dei lavoratori, il lavoratore, dunque, che ritenga di essere stato licenziato senza una giusta causa o un giustificato motivo, può ricorrere al giudice. Se in sede giudiziaria viene accertata l’assenza di questi due requisiti, il giudice emette una sentenza con la quale può obbligare il datore di lavoro a riassumere il lavoratore licenziato. Questa norma è valida per tutti coloro che lavorano in aziende con più di quindici dipendenti.

L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori stabilisce che “ (…)  il giudice con la sentenza con cui dichiara efficace il licenziamento o annulla il licenziamento (…) senza giusta causa o giustificato motivo (…)  ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.  (…)”.

Considerato che il Governo propone una deroga all’articolo 18. La riforma prevede che nel caso di un licenziamento senza giusta causa nei prossimi quattro anni il lavoratore licenziato venga indennizzato con una somma di denaro ma non possa più godere del diritto ad essere riassunto con sentenza del giudice. Questa deroga dovrebbe riguardare solo alcune categorie di lavoratori ed in particolare: i lavoratori “in nero” che vengono regolarizzati dalle aziende in cui lavorano; lavoratori il cui contratto a tempo determinato venga trasformato in contratto a tempo indeterminato ( ma solo al Sud) i lavoratori la cui assunzione faccia superare all’impresa la soglia dei quindici dipendenti (questo per facilitare le assunzioni nelle aziende che attualmente impiegano meno di quindici lavoratori).

Preso atto che l’opposizione dei sindacati  alla deroga proposta dal governo è netta. Essi hanno dichiarato la loro disponibilità a sedersi al tavolo delle trattative per discutere i diversi aspetti della riforma del mercato del lavoro, a condizione però che il governo “stralci” l’articolo 18.

Visto che  il governo sostiene che le modifiche all’articolo 18 porteranno più occupazione, mentre i sindacati parlano di attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori.

Considerato che l’Italia è un paese che ha conosciuto le lotte per i diritti dei lavoratori fin dai primi anni del 900 con la conquista del diritto allo sciopero, ma anche molto prima con le Leghe di resistenza.  Oggi i  sindacati sono organi che raccolgono i rappresentanti delle varie categorie produttive e parti sociali. In Italia esistono sindacati dei lavoratori e sindacati dei datori di lavoro.

Considerato che il sindacato ha un posto preciso nella Costituzione della Repubblica Italiana. L’articolo 39 recita: L’organizzazione sindacale è libera. Ai Sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione. Tale comma riveste un’importanza fondamentale in quanto sancisce il principio di libertà di organizzazione sindacale e soprattutto in quanto segna un netto distacco rispetto alle posizioni prese in epoca precedente dal legislatore nei confronti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei loro strumenti rivendicativi. I lavoratori sono altrettanto liberi di aderire o partecipare ad un’organizzazione sindacale.

 Preso atto che è giusto può forse essere utile ricordare il referendum del 2000 con il quale i Radicali si proponevano di eliminare (non di modificare) l’articolo 18, con l’intento di favorire una maggiore occupazione. La Corte Costituzionale, chiamata a decidere sull’ammissibilità di quel referendum, ne sentenziò la legittimità. Risulta quindi poco fondata la convinzione di coloro che parlano dell’articolo 18 come di un diritto fondamentale. Quel referendum come tutti ricorderete è stato invalidato perché non ha partecipato al voto la maggioranza degli aventi diritto ( solo il 32,5%). E’ però sintomatico che la maggioranza dei votanti (66,6%) ha detto no alla cancellazione dell’articolo 18. Questo risultato dovrebbe far riflettere tutti noi, evidentemente gli italiani sull’argomento la pensavano diversamente nonostante l’impegno e la buona volontà dei Radicali e governo in tema di occupazione.

Considerato che l’anno dopo il 18 agosto 2001 e per la prima volta l’allora leader di Confindustria, Antonio D’Amato, chiese al Governo Berlusconi II appena insediatosi di agire immediatamente per favorire una “maggiore facilità nel licenziare”. L’allora Ministro Sacconi analizzò le prime proposte abrogative. Il leader di allora dell’opposizione Francesco Rutelli, parlò della nascita di “un autunno caldo” e dichiarò “il Governo chieda scusa o non daremo tregua al Parlamento”. Anche la Lega Nord rigettò a mezzo stampa per bocca del suo leader Umberto Bossi la possibilità di aprire ai licenziamenti facili, ma poi la sosteneva al Parlamento. Dopo numerosi scioperi  ma soprattutto vista la manifestazione alla quale parteciparono 3 milioni di persone al Circo Massimo a Roma, il governo abbandonò l’idea di abrogare l’articolo 18. Otto anni dopo, l’aula di Palazzo Madama approvò il disegno di legge governativo che introdusse il sistema dell’arbitrato per la risoluzione delle cause giudiziarie sul licenziamento ingiustificato in luogo di processo presso il Tribunale del Lavoro.  Nessuna imposizione formale, solo una possibilità di scelta per il lavoratore.

Preso atto che oggi nuovamente tutta la politica italiana è chiamata da un Governo composto da tecnici e sorvegliato dall’Unione Europea a fare una riforma del lavoro seria che possa aiutare il sistema produttivo italiano ad uscire da questa crisi.

Considerato che è evidente che non ci siano grandi possibilità di mediazione tra il Governo e  alcuni sindacati a causa delle solite ideologie che oggi si sono rivelate dannose per il nostro paese e che per un senso di responsabilità dovranno essere superate da tutti quei partiti che hanno scelto di appoggiare questo esecutivo .

Chiedo al Sindaco, alla Giunta e a tutti i Consiglieri Comunali di avviare una seria e approfondita discussione non solo per trovare un punto di condivisione ma anche per proporre visto la mancanza di accordo tra le parti interessate (Governo e sindacati), l’unico strumento democratico che il nostro paese si vanta di disporre e cioè il referendum. Per una modifica così importante credo che sia un enorme errore, anche per evitare spiacevoli proteste sociali , che il Governo possa chiedere al Parlamento una delega per la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Pur essendo consapevole che i tempi siano ristretti è assolutamente necessario coinvolgere non solo gli stessi lavoratori dipendenti ma tutto il popolo italiano. Chiedo inoltre che questo Ordine del Giorno sia inviato al:

Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, al Presidente della Camera e del Senato e a tutti i Capogruppo  presenti alle Camere.

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